La bella estate

La bella estate

di Cesare Pavese

Nella primavera del 1940, Cesare Pavese scrive il breve romanzo “La bella estate” che poi dà il titolo anche alla trilogia composta dai successivi “Il diavolo sulle colline” e “Tra donne sole”.

In questo <primo atto> della trilogia, inizialmente intitolato in modo significativo “La tenda”, che separa lo spazio bohemienne dello studio artistico in cui si svolge gran parte della storia narrata, Pavese si sofferma sull’età dell’adolescenza, in particolare dell’adolescenza femminile, descritta con grande capacità e paragonata all’estate della vita.

Tema ricorrente è quello della tentazione, che è un ascendente che tutti i giovani sono condannati a subire: la protagonista del romanzo, l’adolescente Ginia, viene introdotta dall’amica più matura, Amelia, in un ambiente di studenti perdigiorno e pittori dilettanti, per i quali Amelia posa in modo spregiudicato.

Questo rapporto con l’amica più esperta, rapporto di crescita e di emulazione, adombra quello tra la giovinezza e la maturità. Amelia assolve a un compito di iniziazione, in quanto rappresenta la tentazione: anche Ginia, posando nuda per i pittori, sentirà acuirsi quel senso di eccitazione e di disagio, che è lo scotto che si deve pagare nel processo di progressiva scoperta delle realtà della vita (quel che si scopre dietro la tenda rossa…) e che comporta al tempo stesso il venir meno delle ingenuità giovanili.

Pavese tende a misurare il tempo sulla base delle stagioni, richiamando un calendario mitico-liturgico proprio della società contadina da cui proviene.

Nella primavera della vita, quella che precede l’estate tanto attesa, Ginia è ancora vicina alle amicizie e a un mondo senza problemi, trascorrendo le giornate in un’atmosfera spensierata e godendo appieno di tutte le emozioni, quasi a rinuncia delle ore di sonno.

L’estate è vissuta tutta d’un fiato e sull’onda di emozioni mai provate prima ed irripetibili, ogni esperienza è una scoperta, ogni momento vissuto pienamente.

Ben presto tuttavia, la perdita dell’innocenza e delle illusioni comporta un’accettazione del proprio destino, fino all’accettare di affidarsi all’amica con quella chiosa finale:

<<Andiamo dove vuoi – disse Ginia – conducimi tu>>.

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